Feet on the water - The Venice Pavilion at the 58th Biennale
Der New Yorker Ralph Rugoff kuratierte die 58. Biennale der bildenden KĂźnste, die gerade mit einer Bilanz von 600.000 Besuchern endete. Der Titel dieser Biennale âMay you live in interesting timesâ (eine Redewendung, die fälschlicherweise seit dem 19. Jahrhundert der chinesischen Volksweisheit zugeschrieben wurde) trifft gut den Geist der Zeit, in der wir heute leben. Wahrlich eine interessante Zeit voller WidersprĂźche.
You can find the italian version below the english article!
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Um beim Thema der schwierigen, aber interessanten Zeiten zu bleiben: Das Problem der Flut und die enormen Schäden, die der Lagunenstadt Venedig zugefßgt wurden, haben uns dazu bewogen, die Stadt zu besuchen, um uns persÜnlich von den Schäden an der Biennale und ihren Werken zu ßberzeugen.
Venedig hat schon immer unter der Macht der Gezeiten gelitten, aber dieses Mal sind die Bilder der Stadt wegen der beachtlichen Schäden am kulturellen Erbe um die Welt gegangen. Viele Italiener fragen sich vor allem, was aus dem MO.S.E. Projekt geworden ist, einem Sperrwerk, das aus einem teuren Apparat mobiler Barrieren besteht, der vor auĂergewĂśhnlichen Fluten schĂźtzen und Venedigs Kunstschätze bewahren soll. Diese Barrieren werden, sofern sie funktionieren, erst im nächsten Jahr in Betrieb genommen, so dass die Stadt weiterhin Hochwasser ausgeliefert bleibt.
Es muss gesagt werden, dass die Biennale in den letzten schwierigen Wochen der Ausstellung (the show must go on!) immer geĂśffnet blieb, mit Ausnahme des ersten Notfalltages, an dem das Personal nicht in der Lage war, das Arsenale- und Giardini-Gelände, in dem sich der GroĂteil der Ausstellung befand, zu erreichen. Es ist jedoch schwer, es allen recht zu machen: Viele in den sozialen Netzwerken waren empĂśrt darĂźber, dass die Biennale trotz der Schäden, die der Rest der Stadt erlitten hat, immer noch funktionstĂźchtig war.
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Auf der Suche nach Informationen aus erster Hand zogen wir unsere Gummistiefel an und erreichten auf dem Seeweg das Castello Sestriere, wo wir eine vom Rest der Stadt isolierte, halbverlassene Biennale erwarteten.
In den Giardini fanden wir stattdessen, zusammen mit viel Regen, viele Besucher. Bei einem kurzen Rundgang durch alle Pavillons konnten wir feststellen, dass fast alle Einrichtungen unversehrt geblieben waren. Im Dialog mit den Betreibern fanden wir heraus, dass das Gebiet dank seiner hÜheren Lage im Vergleich zu anderen Stadtteilen geschßtzt blieb (der Piazza San Marco ist einer der niedrigsten Orte im Verhältnis zum Meeresspiegel), während das Arsenale zusammen mit den freistehenden Pavillons, die sogar das Umstßrzten von Bäumen erlebten, der am meisten beschädigte Ausstellungsort war.
Nachdem wir die Schäden ĂźberprĂźft hatten, konzentrierten wir uns erneut auf die Skulptur. Der litauische Pavillon war leider geschlossen (seit dem 1. November), aber angesichts des feindlichen Wetters wäre er ein willkommenes Ziel fĂźr viele Besucher gewesen! Tatsächlich war der Pavillon Schauplatz der AuffĂźhrung Sun & Sea (Marina), die mĂśglicherweise die kalten Besucher hätte wärmen kĂśnnen. Zum GlĂźck war alles andere zugänglich: vom lebhaften russischen Pavillon Ăźber den erfolgreichen franzĂśsischen Pavillon bis hin zum skandinavischen, belgischen und amerikanischen Pavillon war das allgemeine GefĂźhl am Ende dieser Biennale, dass Skulptur wahrlich die einzig mĂśgliche Sprache ist, und selbstverständlich in all ihren unendlichen Ausdrucksformen dargestellt wurde. Auch der italienische Pavillon respektierte diesen Trend, erwies sich jedoch im Vergleich zu seinem GegenstĂźck und sehr erfolgreichen Pavillon der Ausgabe 2017 als enttäuschend. Ein Werk dieser Ausgabe, die schĂśne Intervention von Roberto Cuoghi im Pavillon von 2017, kam uns bei unserem abschlieĂenden Besuch des Pavillons von Venedig wieder in den Sinn.
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Der Stadtpavillon erwies sich in frĂźheren Ausgaben oft als uninteressanter Teil der Ausstellung und war daher eine angenehme Ăberraschung fĂźr die diesjährige fast prophetische Intuition. GeschĂźtzt durch einen aseptischen, transparenten und aufblasbaren Tunnel, der mit Ziegelsteinen (den typischen venezianischen Pfählen, die fĂźr Fundamente und zum Anlegen von Booten verwendet werden) gesichert war, wurde der Besucher aufgefordert, barfuĂ einen Wasserpfad entlang zu gehen. Der Gummi und das weiche Erscheinungsbild des Tunnels kontrastierten erfolgreich mit den Marmorelementen und verliehen der Installation eine gespenstische Gesamtatmosphäre.
Die Installation entstand in Zusammenarbeit: Der Tunnel wurde vom Kollektiv Plastique Fantastique geschaffen, das sich selbst als "kreative Plattform fĂźr temporäre Installationen" definiert. Die Marmorelemente, die den Tunnel stĂźtzen und mit ihm in Dialog treten, stammen von Fabio Viale. Im Mai enthielt dieser Pavillon eine komplexe und erfolgreiche Arbeit; heute, angesichts der Schäden, die Venedig und die Venezianer erleiden mussten, erinnertn die in der Kälte versunkenen FĂźĂe sofort an die Bilder der Ăźberfluteten Stadt und das unlĂśsbare Drama (?) des steigenden Wassers.
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Author and Coordinator of North Italy, Nicola Valentini, has visited the 58th Biennale in Venedig for us.
Title: Plastique Fantastique and Fabio Viale "Blurry Venice", Venice Art Biennale 2019
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Feet on the water, il padiglione Venezia alla 58° Biennale
Il newyorkese Ralph Rugoff ha curato la 58esima Biennale di Arti Visive, appena conclusasi con un saldo di 600.000 visitatori. Il titolo di questa Biennale âMay you live in interesting timesâ (che poi sarebbe un proverbio erroneamente attribuito alla saggezza popolare cinese sin dallâOttocento) coglie bene lo spirito del tempo in cui viviamo, certamente un tempo interessante e ricco di contraddizioni. Restando in tema di tempi difficili ma interessanti il problema dellâalta marea e degli enormi danni inflitti alla cittĂ lagunare ci ha convinto a visitare la cittĂ per assicurarci di persona di eventuali danni alla Biennale veneziana e alle sue opere.
Venezia subisce da sempre il potere delle maree, ma le immagini della cittĂ hanno stavolta fatto il giro del mondo a causa dellâeccezionalitĂ dei danni causati al patrimonio culturale della cittĂ . Molti italiani in particolare, si domandano che fine abbia fatto il progetto del MOSE, opera composta da un costoso apparato di barriere mobili che dovrebbe riparare da maree eccezionali e preservarne i tesori artistici. Tali barriere, ammesso che funzionino, non entreranno in funzione prima dellâanno prossimo, perciò la cittĂ rimane ostaggio delle maree.
Va pur detto che la Biennale è sempre rimasta aperta nelle ultime difficili settimane di esposizione (the show must go on!), fatta eccezione per il primo giorno di emergenza in cui il personale era impossibilitato a raggiungere la zona dellâArsenale e dei Giardini dove ha sede il grosso dellâesposizione. Ă difficile accontentare tutti: molti nei social network si sono indignati nel vedere che la Biennale continuava a funzionare nonostante i danni subiti dal resto della cittĂ .
In cerca di informazioni di primo mano abbiamo infilato gli stivaloni di gomma è abbiamo raggiunto il sestriere di Castello via mare dove ci aspettavamo di trovare una Biennale semideserta ed isolata dal resto della città .
Ai Giardini abbiamo invece trovato insieme a tanta pioggia molti visitatori. Un rapido giro di tutti i padiglioni ci ha permesso di verificare che quasi tutte le strutture erano rimaste indenni. Il dialogo con gli operatori ci ha permesso di scoprire che la zona si è salvata grazie alla maggiore altezza rispetto ad altri quartieri della cittĂ (Piazza San Marco è tra i luoghi piĂš bassi in assoluto rispetto al livello del mare) mentre lâArsenale è stato lo spazio espositivo che ha subito maggiori danni, insieme ad altri padiglioni distaccati che hanno visto anche il crollo di alberi.
Una volta verificati i danni ci siamo concentrati di nuovo sulla scultura. Il padiglione lituano era purtroppo chiuso (dal primo novembre) ma visto il tempo ostile sarebbe stato destinazione gradita di molti visitatori! Il padiglione ospitava infatti la perfomance Sun & Sea (Marina) che avrebbe forse potuto riscaldare gli infreddoliti visitatori. Tutto il resto era fortunatamente accessibile: dal vivace padiglione russo, al riuscito padiglione francese, dal padiglione della Scandinavia, del Belgio e degli Stati Uniti, la sensazione complessiva al termine di questa Biennale è che davvero la scultura sia ormai lâunico linguaggio possibile, ovviamente declinata nelle sue infinite modalitĂ espressive. Anche il Padiglione italiano rispetta questa tendenza ma si è rivelato deludente al confronto con lâomologo e riuscitissimo padiglione dellâedizione 2017. Unâopera di quellâedizione, il bellâintervento di Roberto Cuoghi nel padiglione 2017, ci è tornata in mente visitando infine il padiglione Venezia.
Molte volte il padiglione cittadino si è rivelato parte poco interessante dellâesposizione nelle precedenti edizioni e pertanto è stata una piacevole sorpresa per lâintuizione quasi profetica di questâanno. Protetto da un asettico tunnel gonfiabile trasparente puntellato dalle briccole (i tipici pali veneziani usati per le fondamenta e per ormeggiare le imbarcazioni) il visitatore era chiamato a percorrere scalzo un percorso acquatico. La gomma e lâaspetto soffice del tunnel si contrapponeva in maniera riuscita agli elementi in marmo fornendo complessivamente unâatmosfera spettrale allâinstallazione.
Lâinstallazione è composta a piĂš mani: il tunnel è stata realizzato dal collettivo Plastique Fantastique, che si definisce âuna piattaforma creativa di installazioni temporaneeâ. Gli elementi in marmo che puntellano e dialogano con il tunnel sono opera di Fabio Viale.
A maggio questo padiglione conteneva unâopera delicata e riuscita; oggi, alla luce dei danni patiti da Venezia e dai Veneziani, i piedi che affondavano nel freddo riportavano immediatamente alla memoria le immagini della cittĂ allagata ed il dramma irrisolvibile (?) dellâinnalzamento delle acque.
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